Infanzia Negata

Quando gli domando da dove viene mi risponde utilizzando semplicemente una parola “base”.

G., infatti, a differenza della maggior parte dei bambini e ragazzi con i quali operiamo, in strada non ci è finito, bensì ci è nato.

G. è uno “street boy” fin dalla nascita. Sua madre era una ragazza di strada, solita sniffare colla e utilizzare altre droghe.

Dal canto suo, il padre non c’è mai stato, cosa che non affatto inusuale qui in Kenya. Alla domanda “dov’è tuo padre?” non è infatti insolito ricevere come risposta “hakuna”, parola in lingua “kiswahili” che significa letteralmente nessuno.

Nato e cresciuto in strada, senza un padre e con una madre che, seppur presente fisicamente, presente non lo era affatto, G. è stato circondato fin da piccino da “persone brutte”, persone che gli hanno fatto credere che vivere in strada, rubare e drogarsi fosse la cosa giusta da fare, fosse il “bene”.

G. mi racconta della sua infanzia e di come anche le droghe siano entrate a fare parte della sua vita quando era ancora molto giovane. Non solo banghi (marijuana) e pombe (alcool), ma anche colla, carburante per aerei e “white”, una sorta di psicofarmaco considerato tra le droghe più pesanti in Kenya.

“Con la white ti senti come se potessi fare qualsiasi cosa. Puoi rubare e fare tutto. Non hai più paura di nulla. La tua mente è completamente vuota e l’unica cosa a cui pensi è quella di cercare soldi”.

Rubare, infatti, è intrinseco della vita di strada e i furti, piccoli o grandi che siano, sono all’ordine del giorno.

G. prosegue nel suo racconto e la cosa che più mi colpisce è che, nel farlo, continua a ripetermi una frasetta, un intercalare, tanto semplice quanto apparentemente necessario affinché lui possa continuare con il rivelarmi quella terribile storia. La sua storia.

“Roberta, street siko poa, street ni mbaya”, frase che letteralmente significa “la strada non è bella, la strada è cattiva/brutta”.

La strada. Un ambiente composito formato prettamente da street gangs, spacciatori, tossicodipendenti e prostitute. Un ambiente nel quale la violenza, gli abusi sessuali, il crimine, l’abuso di alcool e di altre sostanze stupefacenti sono all’ordine del giorno.

G. mi spiega che quando un bambino arriva in strada per la prima volta solitamente gli si dice di tornare a casa.

“Nessuno di noi gli consiglierà mai di rimanere in strada. La vita in strada non è affatto bella. La violenza è tanta. È troppa”.

E G. questo lo sa molto bene.

G., un bambino nato e cresciuto in strada. Un bambino che non solo è stato spettatore di violenza, qualsiasi forma essa avesse, ma che la violenza l’ha anche vissuta in prima persona. È stato infatti sodomizzato più volte dai ragazzi più grandi.

G. mi dice che vorrebbe cambiare vita e vorrebbe uscire definitivamente dalla strada. Sua mamma adesso vive in una casa, dove ultimamente anche lui sta andando per passare la notte.

G., però, mi fa anche capire come il passaggio dalla strada alla casa non sia affatto semplice, soprattutto per chi, come lui, la strada ha costituito la “normalità” per molto tempo.

“Ogni tanto sento qualcosa nella mia testa. Non so bene cosa sia. So solo che mi fa tornare in strada”.