E tu, che cosa vedi?

Era diventato il nostro appuntamento fisso. Uscivo dall’ufficio e lungo la via del ritorno, facevo sempre tappa da lui. Chiacchieravamo del più e del meno. Lui amava raccontarmi le sue storie. A me piaceva ascoltarlo.

A volte, mi aspettava anche con un pensierino e in questi casi lo beccavo subito, ancora prima che mi dicesse: «Roby, ho qualcosa per te».

Tirava fuori dalla tasca dei suoi pantaloni una gomma da masticare, spesso comprata con gli unici 2 kwacha (circa 9 centesimi di euro) guadagnati nell’arco di tutta la giornata. Altrimenti, apriva il suo zainetto dal quale estraeva una rivista recuperata chissà dove.

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana e mese dopo mese, ho iniziato così ad accumulare riviste.

Erano vecchie riviste di vario tipo. Quelle che noi siamo soliti sfogliare distrattamente in attesa del nostro turno dal dottore o dall’estetista e che cestiniamo non appena esce la nuova edizione.

Non sapevo bene cosa farmene, ma allo stesso tempo non mi piaceva l’idea di buttarle.

Era come se quelle riviste celassero qualcosa di speciale che io non riuscivo a capire.

E così, ogni volta che me ne dava una nuova, la aggiungevo alla pila appoggiata sul comò di camera mia.

Il mistero è andato avanti finché non è arrivato quel giorno in cui, seduta su una delle due sedie nella sua baracca, ho finalmente capito.

In un angolo della stanza una piccola libreria contenente una montagna di riviste.

Inizia a rovistare nella confusione e, mano mano che ne sceglie una, si volta e me la appoggia sulle gambe. Io, seppur un po’ perplessa, non mi muovo e osservo.

Finita la selezione, si alza e viene a prendere posto accanto a me. Prendiamo la rivista in cima alla pila e cominciamo a sfogliarla.

È una rivista di bordo, ovvero una di quelle che le compagnie aeree distribuiscono gratuitamente.

Troviamo una foto di Dubai vista dall’alto. Io la osservo per forse due secondi e sono già pronta a voltare pagina, ma lui mi blocca la mano. Sta contando i piani di uno dei grattacieli che si vedono nella foto.

Termina il conteggio, pensa all’edificio più alto di Lusaka (unico suo termine di paragone) e prova ad immaginare quanto possano essere alti i grattacieli a Dubai.

«Devono essere altissimi!» esclama.

Giriamo pagina. Ora, nella foto ci sono un aereo e una hostess. Un’altra immagine a cui io non dedicherei un minuto. Una foto a cui lui dedicherebbe anche l’intero pomeriggio.

Approfitta della mia presenza e mi riempie di domande. Vuole sapere com’è salire su un aereo. Mi chiede che sensazione si prova nel passare i controlli di sicurezza e come vengono fatti. Mi domanda delle valigie. In particolare, di quando queste spariscono, portate via dal nastro trasportatore. Insomma, vuole sapere tutto.

I suoi occhi brillano. Le sue palpebre tremano. Mi chiedo cosa stia immaginando.

Mi chiedo come possa apparire tutto ciò agli occhi di un uomo che, l’unica volta che si è spostato, è stata per andare a lavorare nelle miniere di rame situate nella parte nord del paese.

Continuiamo a sfogliare le pagine con attenzione. Ogni foto è preziosa.

Ogni immagine racchiude una storia, ma per coglierla bisogna essere bravi osservatori.

Per coglierla, bisogna sapere VEDERE e a volte, non basta avere gli occhi aperti per farlo.

Quest’uomo me l’ha dimostrato e mi ha insegnato, ancora una volta, come guardare il mondo. Mi ha dato nuovi occhi per farlo.

Un uomo che, ai nostri occhi, non ha nulla.

Un uomo che noi definiremmo “povero”, ma che, intanto, a differenza di noi “ricchi”, si è tenuto stretto una cosa preziosa che nessuno potrà mai portargli via.