Dietro quella piccola porta

La sua casa è davvero piccola. Più piccola di quello che immaginavo.

Estrae la chiave dalla tasca e apre il lucchetto che tiene chiusa la porta. La serratura difatti è rotta e la porta è tenuta chiusa da un catenaccio improvvisato. Spinge la porta e mi fa cenno di entrare.

Varcata la soglia d’ingresso mi blocco. Non so dove andare. Non c’è alcuno spazio per muoversi.

Chewe arriva in mio soccorso e mi invita gentilmente a sedermi sulla sedia che sta alla mia destra. Mi siedo e lui prende posto accanto a me.

Entrambi con le spalle alla parete. Di fronte a noi l’intera casa.

Ai nostri piedi il materasso giace direttamente sul suolo e, nonostante sia piuttosto piccolo, porta via gran parte dello spazio.

Dall’altro lato del materasso rimane infatti solo una striscia di pavimento che è stata riempita con una scarpiera e una cesta per mettere i panni sporchi. I vestiti puliti sono appesi direttamente alla parete.

Ai piedi del letto c’è un altro piccolo spazio, questa volta occupato da un vecchio mobiletto in legno contenente qualche utensile da cucina.

L’ultimo lato disponibile intorno al materasso è quello dove ci troviamo noi. Qui, due sedie sono state messe perfettamente in posizione centrale rispetto al muro, lasciando così spazio ad entrambi gli angoli di posizionare altri due mobiletti.

Alla mia sinistra, un piccolo scaffale sul quale sono impilate le poche tazzine e i pochi piatti che ha. Dall’altro lato, una piccola libreria ad angolo.

Sulla libreria non mancano i soprammobili: tre pagine strappate da qualche rivista, raffiguranti tre diverse pubblicità di profumi.

Alzando lo sguardo, la mia attenzione non può che essere catturata dal quadro appeso a metà della parete e dalla sua scritta “Well come to vistars”. Sorrido. Lo spelling è palesemente errato ma, nonostante ciò, è anche palese l’intenzione dell’artista di volere scrivere “Welcome visitors”, in italiano “Benvenuti visitatori”.

Sposto ora lo sguardo a sinistra. Tre palloncini. Uno giallo e due verdi. Tre semplici palloncini: l’addobbo che non può assolutamente mancare ad una festa di compleanno. Gli stessi che, ogni volta che vediamo volare via, ci chiediamo dove andranno mai a finire.

Quel pomeriggio, ho scoperto che, a volte, una risposta esiste e che questa può essere anche meglio di tutte le ipotesi che mi ero costruita nella mia testa.

Da un quartiere probabilmente benestante ad un compound (slum).

Dallo sguardo pieno di lacrime di un bimbo che, con il nasino all’insù, vede i suoi palloncini sfuggirli via di mano, agli occhi colmi di gioia di un uomo di quasi 40 anni che, trovandoli fuori dalla sua baracca, non ci pensa due volte a raccoglierli e a farli diventare parte integrante dell’arredamento.

Le pagine strappate da qualche rivista, il quadro ricevuto in dono da un artista di strada, i palloncini trascinati lì dal vento e…un nido di un uccellino trovato lungo le vie polverose del compound. Questo il suo ultimo arredo.

Il nido è appoggiato sopra il quadro. Chewe si alza in piedi, lo prende e me lo passa con orgoglio. Vuole che ne osservo la bellezza, che ne tocco la consistenza e che ne passo le dita tra gli intrecci.

Come farà un piccolo uccellino a costruire una tale meraviglia? Mi domanda.

Non rispondo. Mi sento così piccola davanti a tanta semplicità. Quel nido è davvero una meraviglia e mi rendo conto che, fino a quel momento, forse non mi ero mai soffermata davvero a GUARDARNE uno.

Continuo a passare in rassegna la casa con lo sguardo.

Noto che dal soffitto penzola un pezzo di plastica sostenuto da un filo, sul quale è stato appoggiato un piccolo secchio. Chewe mi spiega che il tetto in lamiera è rotto e, in quel punto in particolare, la pioggia entra direttamente sul letto così, presi i pochi strumenti a sua disposizione, si è ingegnato e ha creato il suo sistema per proteggersi.

Sopra il letto passa anche un altro filo. Questo è teso da un angolo all’altro della stanza e va a formare una diagonale che Chewe utilizza per appendere i panni lavati quando fuori piove e non è quindi possibile stenderli.

Ancora. Accanto al letto, una radio. Non saprei dire di che anno sia, ma per me potrebbe essere tranquillamente considerata un pezzo da museo. Non vorrei sbilanciarmi troppo ma, da come ne parla, credo che la radio sia uno dei tesori più preziosi che possiede. E come dargli torto..è la sua finestra sul mondo!

La radio funziona ovviamente a pile e le pile costano, per qualcuno, anche tanto. È così che Chewe è solito accenderla solamente al mattino, prima di andare a lavoro, per potere ascoltare le news dal mondo o un po’ di musica gospel.

Oggi però è un giorno speciale. Ha un’ospite e vuole trattarlo nel migliore dei modi.

Vuole offrirmi tutto il meglio che ha.

Fa dunque un’eccezione. Accende la radio e cerca una canzone da farmi ascoltare. Solo una. Poi la spegniamo subito per non scaricare troppo le pile.

Passiamo così a sbirciare nella libreria. Inizia a tirare fuori riviste e giornalini che mi impila man mano sulle gambe. Sono i libretti della messa, sono quelli che i testimoni di Geova distribuiscono gratuitamente lungo la strada, sono le riviste che noi siamo soliti trovare nelle sale d’attesa. Li apriamo, li sfogliamo e li leggiamo. Uno a uno. Pagina per pagina.

Il tempo scorre senza che me ne renda conto.

Il mio cervello è troppo impegnato a cercare di metabolizzare quel mondo, tanto diverso dal mio, nel quale mi sono immersa quel giorno.

Un mondo dove al posto di guardare le immagini scorrere sullo schermo di un televisore, le si osservano sfogliando le pagine di giornale e la storia ce la si crea nella testa. Un mondo dove la radio non la si accende così, tanto per avere un po’ di musica di sottofondo e magari mentre si stanno facendo anche altre tre cose, ma la si accende per ASCOLTARLA.

Il sole sta calando. Il pomeriggio è volto quasi al termine. Me ne rendo conto solamente perché inizio davvero a faticare a leggere. Si sta facendo buio e nella stanza non c’è elettricità.

È meglio che mi incammini verso casa prima che cali davvero la notte.

Ci salutiamo ma, proprio quando sto per uscire, mi blocca. Si è dimenticato di farmi vedere una cosa. Così, allungandosi, tira fuori un sacchettino di plastica da sotto il materasso. Lo apre e, con gli occhi che gli brillano, inizia a tirare fuori alcune cravatte che distende con cura sul materasso per farmele ammirare al meglio.