Dallo Zambia tutto bene

Ciao belli, eccomi a scrivere dal mio nuovo lettone in quel di Lusaka. Cavolo, è già passato più di un mese da quando, con le lacrime agli occhi, passavo il controllo di sicurezza all’aeroporto di Milano per salire sul primo dei tre voli che mi avrebbero portata qui, in Zambia.

Foto scattata da Marcel Kaufmann, fotografo ufficiale di Comundo.

Come alcuni di voi ben sanno, avevo fantasticato per molte settimane su questo Paese. Avevo letto libri e raccolto svariate informazioni. Pensavo di sapere perfettamente ciò che mi sarebbe aspettato.

Solo adesso, dopo un mese a Lusaka, inizio a capire qualche piccolo frammento di questo meraviglioso quanto difficile paese e mi rendo conto di quanto sia stata presuntuosa. Come potevo pensare di conoscere una realtà nella quale non avevo mai vissuto?

Sicuramente leggere, documentarsi, guardare un filmato può darci una vaga idea di una realtà differente. Vorrei sottolineare “una vaga idea” perchè rimarrà pur sempre un’immagine che il nostro cervello ha elaborato e distorto sulla base di ciò che conosce e ha sperimentato. Avete mai visto il film intitolato “Genio ribelle”? Qui, c’è una bellissima frase pronunciata da Robin Williams che mi piacerebbe citare. In particolare, quando in qualità di psicologo si rivolge al ragazzo dicendogli “Sei orfano giusto? Credi che io riesca a inquadrare quanto sia stata difficile la tua vita, cosa provi, chi sei, solo perché ho letto Oliver Twist?”

Da un giorno all’altro mi sono trovata quindi catapultata in una nuova realtà. Dall’Italia all’Africa. Da Como a Lusaka. Una realtà che non conosco, spesso non comprendo ma che, nonostante ciò, sto imparando ad accettare. Accettare le tante diversità che una cultura porta con sè non è così semplice, soprattutto quando alcune di queste sono anche contro tutto ciò che hai fatto fino a quel momento.

Iniziare a realizzare che ci possano essere diversi modi di vivere la vita ed avere la capacità di comprendere che, per certi aspetti, il tuo modo non è sempre il migliore, non è così scontato.

Si sa, l’Africa è una terra di grande fascino ma, allo stesso tempo, non è facile. E così è vivere a Lusaka. Se da una parte ti conquista, dall’altra ti sfida.

Vivere a Lusaka significa lasciare andare.

Eh già, se da una parte la diversità attrae, dall’altra spaventa.

Camminando per strada ti può capitare che una ragazza si avvicini dicendoti che le piace troppo il tuo outfit. Potresti poi essere fermata da una signora sulla cinquantina di anni che ti chiede di diventare amica di sua figlia, lasciandoti il rispettivo numero in modo da poterla subito contattare per uscire insieme. Succede anche che, mentre sei in ufficio e tu stai cercando di concentrarti, la tua collega non ti toglie gli occhi di dosso un secondo per poi saltare fuori dicendoti che hai una pelle troppo bella. Per non parlare delle visite alle scuole, dove vieni letteralmente assalita da tutti questi bimbi che ti scrutano, ti accarezzano, ma soprattutto ti scompigliano i capelli, che evidentemente gli piacciono da matti.

Essere la “diversa” significa, però, beccarsi anche l’altra faccia della medaglia. Significa avere sempre gli occhi addosso ed essere la destinataria di commenti e nomignoli di ogni genere. Significa sapere già i tratti di strada dove inevitabilmente ci saranno i soliti gruppetti che ti stresseranno e quindi prepararti psicologicamente a passare con la testa bassa facendo finta di niente, quando in realtà vorresti fare tutto l’opposto. Infine, essere la straniera significa anche essere vista come la rivale. Può capitare che entrando in un compound, ti becchi un bel pugno di benvenuto e ringrazi solo di non averlo preso in faccia e di avere una schiena da nuotatrice pronta ad attutire.

Vivere a Lusaka significa adattamento.

Potrebbe capitare che se vuoi lavarti devi prenderti a secchiate e non necessariamente di acqua calda. Hai pianificato di fare la doccia domenica mattina? Così ti sistemi e poi esci? Può succedere che quella mattina, quando ti sveglierai, l’acqua non ci sarà e soprattutto non la rivedrai prima delle 7 di sera. Adattarsi significa esserti già insaponato e doverti togliere il sapone con un fazzoletto. Ma adattarsi significa, più di tutto questo, smetterla di incazzarti ogni volta perchè sennò non vivi più.

Vivere a Lusaka significa frustrazione.

Ebbene sì. Non capire e non essere capita. Realizzare che qui sei una perfetta incompetente: non capisci niente della loro lingua, non sai come muoverti e nemmeno come comportarti in determinate situazioni. Non comprendi quando stai camminando per strada e nel giro di pochi chilometri passi da un super centro commerciale a un compound. Passi dal camminare su una strada asfaltata a passeggiare sull’immondizia. I bambini che fino a poco fa giocavano con i videogiochi, lasciano spazio ai loro coetanei che adesso spingono carriole o si divertono con giocattoli che, probabilmente, noi non definiremmo manco tali.

Foto scattata da Marcel Kaufmann, fotografo ufficiale di Comundo

Non comprendi quando sei sul minibus in direzione casa e un ragazzo sale dicendo qualcosa in Chinyanja. Gli altri passeggeri discutono, prendono le loro cose e si mobilitano. E a te che non hai capito un accidente, non ti resta che seguire la massa e cercare qualcuno a cui chiedere informazioni. Frustrazione significa viaggiare due ore per raggiungere una scuola per potere assistere alla lezione di informatica. Significa poi arrivare e scoprire che quel giorno, i bimbi non potranno fare lezione perchè hanno appena tolto la corrente a quella specifica area.

Vivere a Lusaka significa resilienza.

Significa avere 26 anni ed arrivare in un paese dove uscire la sera, con il buio, non è per niente scontato. Significa arrivare e sentirsi dire che tu, in quanto ragazza e sola, quando diventa buio non dovresti muoverti. Significa che tu, che sei abituata a prendere e uscire come e quando ti pare e che tra palestra, amici e volontariato non passavi in casa una sera, impazzisci.

Significa anche che, dopo un mese che vivi qui, ti senti terribilmente stupida per tutte le tue lamentele a riguardo e per tutte le volte che hai detto alle tue amiche che ti sentivi come in un carcere. Ti senti stupida perchè realizzi che andare in palestra è tutt’altro che “normale”. Le persone, oltre a faticare a trovare i soldi per mangiare, hanno probabilmente già camminato tutto il giorno (per andare a lavoro, a scuola o, più semplicemente, per spostarsi), magari trasportando anche carichi. Ti senti stupida perchè ti rendi conto di quanto la tua visione era e sia tutt’ora limitata. Ti senti stupida perchè tolta la palestra e la birretta con gli amici ti sei sentita persa, come se non rimanesse più nulla da fare.

Vivere a Lusaka sta significando questo e molto altro ancora e niente e nessuno poteva prepararmi a tutto ciò.

Per concludere vorrei chiedervi un favore. Nulla di impegnativo. Anzi, a volte è sufficiente non fare niente. Trattiamoli bene gli stranieri!

Emigrare è ben diverso dal farsi la vacanza all’estero. Emigrare altrove significa non solo trovarsi lontana dai propri affetti e dalla propria casa, ma anche lontana dai suoni, dagli odori e dalle sensazioni a noi familiari. Significa smarrimento. Significa trovarsi a metà strada tra due culture. Significa cercare un modo di trapiantarsi nella nuova terra, non volendo però rinunciare alla propria cultura nella quale, fino al giorno prima, ti eri identificata. Emigrare è senza dubbio un’esperienza bellissima, ma è anche crisi e TANTA confusione.

Capita di doverti obbligare a uscire di casa perchè l’unica cosa che vorresti fare è stare al sicuro nel tuo letto.

Ricevere un sorriso o una parola gentile al posto di un commentino stupido può veramente cambiarti la giornata. Può veramente darti quell’energia e quella positività in più, di cui in quel momento hai bisogno.

Quindi trattiamo bene gli stranieri. Probabilmente stanno già combattendo una battaglia con loro stessi che noi non sappiamo e manco possiamo immaginarci.