Saggezza Rasta

Premetto che sto viaggiando lungo la costa keniota. Doveva essere una vacanza rilassante, in cui avrei fatto attività routinarie, mi sarei viziata un pochino e avrei scritto la tesi ma, visto che i piani sono fatti per non essere rispettati e io di fare una vacanza tranquilla non ce la faccio manco ad impegnarmi, eccomi qua.

Per farla breve conosco questo ragazzo in spiaggia. Un rasta o, come piace definirlo alla mia mente creativa, una stella marina. Ha infatti tutti questi rasta che sparano in aria, facendogli assumere esattamente la stessa forma.

Anyway, questo non ci interessa più di tanto. Il punto è che questo ragazzo mi invita ad andare a mangiare al “Rasta Restaurant”.

Su due piedi la cosa mi ispira ed è così che inizio a fargli qualche domanda in più. Il ragazzo sorride ai miei quesiti e nel rispondermi mi fa intendere che il “Rasta Restaurant” non è propriamente un ristorante.  

Ci accordiamo. Devo fargli sapere cosa vorrei mangiare almeno con un giorno di anticipo in modo tale che possa organizzarsi. Devo portarmi con me dell’acqua da bere, alias rischierei di non bere per tutto il giorno. Nel “Rasta Restaurant” non c’è acqua. Infine, devo dirgli a che ora ho intenzione di andare a mangiare in modo tale che possa venire a recuperarmi. Il “Rasta Restaurant” si trova dopo i villaggi, nel bel mezzo della foresta, e non potrei mai raggiungerlo da sola.

All’indomani, eccomi al “Rasta Restaurant”.

Altri ragazzi hanno deciso di aggregarsi e seguirmi in questa avventura.

Il posto è uno spettacolo. Una capanna nel bel mezzo della foresta. Un tavolino tutto colorato sta sotto gli alberi. Un’amaca piuttosto distrutta penzola da uno dei tanti rami e, nonostante il terrore di darle la botta finale e romperla del tutto, questa diventerà il mio posto preferito. Un salvagente bucato, recuperato chissà in quale spiaggia, penzola alle mie spalle; mentre sopra la mia testa dondolano conchiglie e bottiglie anch’esse tutte variopinte. Insomma, qualsiasi cosa lasciata in spiaggia, anche la più insignificante, è stata recuperata e contribuisce a rendere questo posto alquanto magico.

Un altro aggeggio cattura la mia attenzione. Sta appeso a un altro tronco. È una sorta di tamburo. L’amico Rasta mi spiegherà più tardi che serve a cacciare gli spiriti maligni. Lo suona tutte le mattine, non appena si sveglia, per una decina di minuti. Solo così, mi dice, può iniziare bene la giornata.

Musica, cibo e chiacchiere. Il nostro pranzo diventa un po’ come quello di Natale; non tanto per la quantità di cibo a disposizione, quanto piuttosto per la durata.

L’atmosfera è magica e il tempo scorre senza che nessuno di noi se ne accorga.

Il sole sta tramontando e per noi è giunto il momento di rientrare.

Salutiamo e ci incamminiamo lungo la strada battuta in terra rossa, quando sentiamo qualcuno arrivare di corsa alle nostre spalle.

Ci voltiamo. È Rasta. Sta correndo verso di noi e tiene in mano un bottiglione da 5 litri di acqua. È quella che ci eravamo portati e che, evidentemente, abbiamo bellamente dimenticato lì.

Rasta ci raggiunge e, porgendoci l’acqua, pronuncia una frase semplicissima quanto, a mio parere, potente e carica di significato.  

“Amici miei, avete dimenticato questa. Come avete potuto? Come avete fatto ad andarvene via senza VITA?”